Infertilità: la forza e la speranza che non pensavi di avere


Una testimonianza


Troppo spesso parliamo di infertilità dal nostro punto di vista: quello di medici e operatori del settore che tentano di spiegare, far conoscere, introdurre.


Le persone che si trovano di fronte a questa condizione, affrontando la sfida, sanno perfettamente quanto sia coinvolta anche la sfera emotiva, quanto siano importanti l’atteggiamento e l’approccio.  Trovarsi a vivere un problema di infertilità provoca una ferita profonda che ognuno affronta in maniera diversa. Ma sempre più persone che hanno vissuto l’esperienza, a distanza di anni, avrebbero voluto sapere cose che allora non immaginavano, come la donna la cui testimonianza abbiamo trovato in Rete in un articolo che ha scritto per una rivista americana dedicata all’infertilità e della quale vi riproponiamo alcuni stralci, sperando che possano ispirarvi.



“Quando ci troviamo di fronte ad avversità di vario tipo spesso ci stupiamo di quello che siamo capaci di fare per affrontarle, superarle o sopravvivervi. In molti casi diciamo a noi stessi che non abbiamo altra scelta che essere forti, malgrado si faccia fatica ad immaginare come. Ma riflettendo su ciò che è capitato a me, col senno di poi, devo ammettere di aver avuto molta più forza di quanto immaginassi, tanta determinazione e speranza, che è sempre stata intensa e mi ha aiutato.


Parlando della mia esperienza, ci sono stati almeno tre casi emblematici che mi tornano in mente: aver affrontato un aborto da sola, essermi fatta delle iniezioni nel bagno di un ristorante e credere fortemente che ci fosse un embrione che mi avrebbe reso mamma.


Dopo un anno di tentativi, io e mio marito siamo stati in grado di concepire mentre eravamo seguiti già da un medico specialista. Eravamo così eccitati che decidemmo di comunicare tutto ai nostri cari durante la festa del Ringraziamento malgrado la mia gravidanza fosse di appena 8 settimane. La domenica successiva mio marito partì per un viaggio d’affari mentre io andavo avanti con la vita di tutti i giorni. A metà settimana notai delle perdite. Mi fu detto che si trattava di eventi normali durante un’ecografia: il battito era perfettamente regolare. Più tardi quella notte, però, mi svegliai in preda a terribili crampi. Stavo sanguinando molto e avevo con me soltanto dei tamponi o poco più. Ero da sola, nel bel mezzo della notte, mentre stavo perdendo quel figlio per il quale avevo pregato così tanto.


Spero di non dovermi trovare mai più ad affrontare qualcosa di simile, ma esiste una sola triste realtà: probabilmente capiterà. Magari sarà anche qualcosa di peggiore. Ma adesso so con certezza di avere nervi d’acciaio quando ce n’è bisogno. So che avrò la forza per fare quello che va fatto. Ebbi allora, e penso avrei ancora, la capacità di andare avanti, di non bloccarmi.


Un altro esempio mi viene pensando ad un periodo in cui avevo cominciato da poco un ciclo di fecondazione in vitro. Ricordo che ero molto apprensiva rispetto alle iniezioni che dovevo fare, così mi ero costruita una specie di rituale che mi aiutasse a focalizzarmi su tutti i passi corretti da seguire e preghiere che mi dessero la speranza che pensavo di non avere. Il mio rito aveva necessariamente bisogno delle comodità e dell’intimità del bagno della mia casa.


Un giorno ricevetti un invito all’ultimo minuto per una cena dove avrei potuto rivedere dei carissimi amici che vivevano ormai lontano ma che si trovavano in città per poche ore. Purtroppo l’appuntamento era fissato proprio in quella finestra di tempo in cui avrei dovuto farmi le iniezioni. Le scelte possibili erano soltanto due: rinunciare a rivedere questi carissimi amici o trovare il modo di farmi le iniezioni nel bagno del ristorante.


Mi ci volle un po’ a convincere sia me stessa che mio marito che avrei potuto farcela. Mi resi conto che il mio rituale casalingo era qualcosa che probabilmente aveva più a che fare con la paura e la superstizione, piuttosto che con la realtà. Era come se avessi permesso al processo di fecondazione in vitro di prendere possesso di me, piuttosto che affrontarlo come uno degli eventi che la vita ti mette di fronte. Ovviamente al centro di tutto c’era la speranza che ci fosse un bambino in arrivo, quindi avrei dovuto sciogliere le mie riserve ma mantenere un certo livello di attenzione e di rispetto per il processo che stavo affrontando.


Andai a quella cena. Mi attrezzai con un contenitore pieno di ghiaccio, con una borsa che potesse contenerlo senza dare nell’occhio, per poi mettere un allarme sul mio cellulare. Al momento opportuno mi scusai con i miei ospiti, feci tutto quello che dovevo e poi tornai a godermi il resto della serata. Quel giorno imparai che la mia vita era più grande della sola fecondazione assistita e che avrei avuto la forza di gestire quest’ultima insieme a tutte le altre importanti attività di lavoro e divertimento, piuttosto che vivere soltanto in funzione di quella.


un embrione umano

Il terzo esempio di cui volevo parlare è quello che è più collegato alla speranza. Prima del nostro primo ciclo di FIV i medici ci mostrarono le possibilità numeriche di un successo… ed erano davvero basse. Quello fu un momento pieno di confusione, frustrante e scoraggiante. Malgrado ciò ci adattammo alle montagne russe di emozioni, giocando sulla complicità. Scherzavamo spesso immaginando di avere atteso tanto per poi magari incappare in una coppia di gemelli, ma segretamente ognuno dei due pensava che, in fondo, due gemelli sarebbero stati perfetti. Così andammo avanti insieme, convinti che avremmo battuto le probabilità e ce l’avremmo fatta grazie alle tecniche di fecondazione assistita.


Imparammo a nostre spese che la Scienza offre grandi aiuti ma non proiettili d’argento e che le probabilità che ci avevano prospettato erano reali. Anzi, affrontammo un secondo ciclo per altro in un periodo in cui avremmo anche dovuto traslocare. I medici ci anticiparono che le probabilità erano scese ulteriormente. E infatti malgrado tutta la nostra volontà non funzionò.  A questo punto ci prendemmo una pausa. Erano giorni di lacrime, di cuore spezzato, di riflessioni, di ricerca di altre opzioni e di sguardi indietro alla vita che avevamo e che adesso era completamente e ostinatamente dedicata a quell’obbiettivo.


Dopo un po’ ci riprovammo. Nuova città, nuovo dottore, nuovo protocollo, una serie di attività collaterali dedicate a un migliore stile di vita… niente che potesse modificare le possibilità che avevamo a disposizione, ma aver staccato per un po’ mi aveva infuso nuova fiducia in quegli embrioni, per i quali attendevo soltanto il risultato positivo del test. Dopo tutto – pensavo con naturalezza tra me e me – se non credessi in loro io che sono la loro mamma, chi mai dovrebbe?


Ebbene, uno di quegli embrioni oggi è il mio bambino di cinque anni!


Quando nostro figlio aveva un anno e mezzo di vita ritornammo dai medici che ci avevano assistito nel percorso che ci aveva portato a lui, con la speranza di aggiungere un altro definitivo tassello alla famiglia che avremmo avuto piacere di avere. In ognuno dei tentativi che seguirono – altri tre in totale prima di ottenere un successo – abbiamo proseguito a credere nei nostri embrioni, chi altri più di noi avrebbe dovuto farlo?


C’è voluta una quantità incredibile di forza dentro di me per superare tutte le disillusioni affrontate per avere la famiglia che sognavo, ma il percorso tortuoso che ho affrontato mi ha in qualche modo fatto crescere, mi ha permesso di capire quanta determinazione e forza di volontà avessi. Anche se le cose non fossero andate bene io comunque avrei acquisito una consapevolezza più alta di me, dei miei limiti ma soprattutto delle mie capacità.


La mia storia non è la vostra. La mia vita non è la vostra. I fatti che mi hanno portato a sentirmi più forte e a sviluppare in me una fede nelle cose positive sono sicuramente diversi da quelli che incontrerete nella vostra vita. Ma spero che anche voi abbiate la capacità di guardare con onestà dentro di voi e capire quanto siete forti, quante cose complicate avete vissuto per arrivare dove siete, consce probabilmente che sareste in grado di fare ancora di più, e di migliorare come persone, nel farlo.”